Nel discorso al Congresso statunitense del settembre 2015,
papa Francesco ha indicato, assieme ad Abram Lincoln e Martin Luther King,
altre due figure esemplari di quel Paese: Thomas Merton e Dorothy Day. Un uomo
e una donna decisamente controcorrente, radicalmente oppositori della
giustificazione della guerra che, invece, ha attraversato la storia millenaria
del cristianesimo. La predicazione dell’obbedienza all’autorità legittima, pur
se ingiusta, è, infatti, tuttora uno scandalo rimosso nella coscienza storica
collettiva.
Un testo di Merton, “La pace nell’era postcristiana”, è
stato censurato per decenni e pubblicato solo nel 2004. Con tale scritto, il
grande scrittore, convertitosi da adulto
al cattolicesimo e diventato monaco trappista nel convento del Getsemani
in Kentucky, definiva la guerra come opzione irrazionale e ateistica fatta
propria dagli stessi cristiani che affidano la propria salvezza all’idolo della
bomba e degli strumenti di morte che non possono rientrare nelle
giustificazioni classiche di una guerra giusta perché preordinati a creare
danni estesi sulla popolazione civile innocente, fino allo sterminio. In questo senso la decisione di costruire e
far esplodere gli ordigni nucleari sulle città del Giappone nel 1945
rappresenta il punto di non ritorno di un’era apocalittica dove la fine
imminente è ormai realisticamente possibile. I conflitti consumati dopo
Hiroshima e Nagasaki, anche se non sono giunti all’uso dell’arma finale, hanno
mostrato una capacità di distruzione sperimentata già con il bombardamento al
napalm di Tokio o quello al fosforo di Dresda, applicando la strategia (“Il
dominio dell’aria”) teorizzata dall’ufficiale italiano Giulio Douhet, nel 1921,
in contemporanea con Billy Mitchell e sir Hugh Trenchard.
Oggi, dopo l’illusione seguita al crollo del blocco sovietico, l’uso dell’arma atomica è ancor più fuori controllo perché accessibile a diversi Paesi, tutti possibili attori del “primo colpo”, anche se la vulnerabilità reale si sperimenta pure in Occidente con la tecnica asimmetrica del terrorismo, a partire dal disastro delle torri di New York nel 2001 fino ai più recenti crudeli attentati nonostante la presenza dell’esercito nel centro delle nostre città. In tale contesto colpisce la progressiva assuefazione alla guerra da parte delle giovani generazioni come un male inevitabile, l’accettazione del progressivo riarmo che distoglie risorse dalla cura dei beni comuni, come la scuola l’ambiente e la sanità, a favore di un complesso industriale che, per tenersi in piedi, deve vendere i prodotti anche alle nazioni in guerra finendo per attizzare il fuoco che teoricamente la politica del riarmo dovrebbe spegnere.
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