Confronto con Renato Sacco Pax Christi
La scelta cosiddetta “pacifista” o “non violenta” è incompresa perché facilmente banalizzabile. Ad esempio le critiche sulla politica degli armamenti presuppongono la prospettiva di un necessario disarmo anche unilaterale? Oppure possono accettare una politica di difesa in linea con la costituzione non determinata dagli interessi delle lobby industriali?
La scelta cosiddetta “pacifista” o “non violenta” è incompresa perché facilmente banalizzabile. Ad esempio le critiche sulla politica degli armamenti presuppongono la prospettiva di un necessario disarmo anche unilaterale? Oppure possono accettare una politica di difesa in linea con la costituzione non determinata dagli interessi delle lobby industriali?
Siamo in un tempo in cui si tende molto a
semplificare, e poco ad approfondire. Si usano espressioni “pacifismo di
vecchio stampo” come ha fatto
recentemente l’ex presidente Napolitano. I tempi dell’Isis vengono usati per
giustificare l’uso delle armi; oggi conta il realismo, si dice, ma la realtà è
molto più complessa. Esiste un rischio di sminuire tutto non affrontando la
realtà nella sua interezza perché l’esistenza del Daesh viene agitata per
giustificare la guerra da parte di certi governi che poi permettono – e
promuovono - la vendita delle armi ai gruppi terroristici. E’ un dato ufficiale
che l’Italia venda armi all’Arabia Saudita. Così come è ufficiale che l’Arabia
Saudita sostenga l’Is. Parlare di disarmo non è un vuoto idealismo ma l’unico realismo possibile davanti a
coloro che coprono interessi nascosti. La storia recente ce lo spiega con
abbondanza di particolari prendendo ad esempio l’inchiesta sulla strage dell’11
settembre a New York che non ha sfiorato la evidente presenza dei sauditi e il loro
coinvolgimento, lasciandoli così indenni da ogni ritorsione. Per tornare al
realismo, invito a ricordare l’urgenza invocata da papa Benedetto XVI,
commentando la prima lettura (Isaia 9,1-6) nella messa della notte di Natale
del 2010:“Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli
aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei mantelli
intrisi di sangue. Realizza la promessa: La pace non avrà fine».
Ma certe volte non occorre l’intervento armato?
Prendiamo ad esempio Bonhoeffer, grande teologo sostenitore della scelta di
pace dei cristiani ma risoluto nel preparare l’attentato, poi fallito, a
Hitler. Oppure l’appello di Alex Langer per porre fine alle stragi nell’ex
Jugoslavia o l’esempio attuale delle donne curde che lottano in armi contro
l’esercito dell’Isis…
«Non voglio rispondere in modo presuntuoso, perché
non mi sono mai trovato in una situazione estrema di grave pericolo, ma ricordo
quanto ha detto il vescovo ausiliare di Sarajevo, mons Pero Sudar: “Riconosco
di essere stato convinto anch’io che l’uso della violenza sia utile e
necessario quando si tratta della libertà dei popoli. Dopo aver visto e vissuto
da vicino che cosa vuol dire la guerra di oggi, non la penso più così. Sono
profondamente convinto, e lo potrei provare, che l’uso della violenza ha
portato sempre un peggioramento.”
Ad ogni modo leggendo il tempo attuale, un
intervento, al limite, deve essere portato avanti da una autorità
internazionale, legittima come avviene
quando si chiama la polizia nelle nostre città e non si affida il
ristabilimento dell’ordine chiamando un clan contro l’altro. Il problema è che
l’Onu viene sistematicamente screditata a vantaggio della Nato che è
l’espressione di alcuni stati contro altri e non rappresenta per niente la
comunità internazionale. La Nato andrebbe perciò smantellata a favore di
un’organizzazione come le Nazioni unite che è invece continuamente screditata,
oltre che ‘bloccata’ dalle potenze che hanno il diritto di veto, e che sono
anche le maggior esportatrici di armi».
Resta tuttavia l’esigenza dell’intervento armato in
certi casi…
«Non voglio sminuire la follia dell’Isis, credo sia
legittimo assimilarlo al nazismo, penso allo strazio attuale delle donne yazide
che ho avuto modo di incontrare nel 2009 in Iraq, ma il primo passo da compiere
in questi mesi sarebbe stato coerentemente quello di non vendergli le armi, le
automobili e smettere di comprare il petrolio. Non è certo in questo modo che
si combatte il terrorismo islamista, se non a parole ed evocando una guerra che
copre altri interessi».
Sembrano però accuse generiche …
«Niente affatto. Ad esempio la rivista Mosaico di
Pace (promossa da Pax Christi) ha denunciato il coinvolgimento in questi
traffici della vendita di armi Italiane all’Arabia Saudita e i nostri interessi
ad es. anche con il Qatar che tuttavia è intoccabile per i troppi interessi
economici che smuove anche nel nostro Paese. Pensando anche allo sfruttamento
dei lavoratori per i mondiali di calcio del 2022 io chiedo di boicottare i
Mondiali di calcio in Qatar, è uno strumento di pressione politica possibile e
fattibile da parte della società civile».
Rimane tuttavia aperta la questione di come
intervenire di fronte alla violenza estrema. Al mistero del male che esiste. Il
dilemma affrontato ad esempio nella Resistenza dai “ribelli per amore”, i
partigiani cristiani che usarono le armi con un senso del limite sempre
incerto. Così se oggi sono costretto ad intervenire in maniera tale da non fare
troppi danni, non posso armarmi all’ultimo momento, ma devo investire in
tecnologia per gli armamenti. Che fare?
«Non posso certo ignorare i casi strazianti di
violazione dei diritti umani, abbiamo citato le minoranze perseguitate in Medio
Oriente ma penso alla situazione del Burundi, eccetera. Credo tuttavia che al
male, che resta con il suo mistero, non si risponda con altro male. “Occhio per
occhio si resta tutti ciechi”. Non si affronta il problema investendo in
armamenti ma non alimentando il fuoco già acceso. Credo che sia necessario bloccare l’economia
che sostiene il sistema delle armi, dalle banche alla tecnologia».
Tralasciando la questione della speculazione e degli
interessi, alla radice della logica dell’occhio per occhio esiste la
consapevolezza che non si può lasciare solo una parte libera di armarsi,
altrimenti vince il più malvagio davanti al più ragionevole e mite. È una
logica assurda ma il ragionamento tiene…
«Io mi rifaccio all’articolo 11 della Costituzione
che ripudia la guerra e alla sapienza del Vangelo che prevede anche di perdere,
tenendo conto con realismo, tuttavia, che coloro che hanno usato le armi fino
alla bomba atomica non hanno certo vinto. La logica di Gesù non è stata quella
di allearsi ad esempio con la setta dei sicari, che neanche più ricordiamo, per
abbattere l’impero romano. Io vedo un senso profondo degli eventi. Ad esempio
mi diceva l’ex presidente Scalfaro che l’articolo 11 della Costituzione
Italiana è stato approvato il 24 marzo, lo stesso giorno (di anni diversi) delle fosse ardeatine in Roma ma anche del
martirio di Oscar Romero e dell’inizio della guerra nell’ex Yugoslavia».
Eppure, come dice Giuliano Amato, ora giudice
costituzionale, è proprio l’articolo 11 che legittima, nel secondo comma, l’uso
delle armi per ristabilire l’ordine internazionale e il premier Renzi ha tenuto
a distinguere Costituzione e Vangelo..
«Infatti sono due realtà che non si possono
paragonare, perché il Vangelo guida la coscienza e basta seguire questa per
chiedersi se quando è stato fatto l’intervento in Afghanistan o in Iraq si sia seguito o violato il secondo
comma della Costituzione. E così in Libia nel 2011 e, prima ancora, nella ex
Yugoslavia nel 1999. Non ci sono mai state le condizioni del secondo comma di
consentire «in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra
le Nazioni». Viceversa quando esistono certe condizioni come nella repubblica
democratica del Congo o in Sarahawi, Sud Sudan… l’Italia resta immobile o sta
dalla parte sbagliata. Ora anche nell’intervento in Libia non si sta operando
per cercare la pace o i diritti dei popoli ma interessi geopolitici ed
economici».
Una politica di difesa va comunque trovata davanti
all’abisso dei tanti conflitti in corso, a cominciare dalla Siria…
«Bisogna tuttavia saper dare il nome giusto alle
cose. La Nato non fa politica di difesa come abbiamo visto nel caso
dell’Ucraina e quindi, come detto, bisogna potenziare l’Onu e non renderlo
pericolosamente inutile. Nel nome della Difesa si moltiplicano i costi e si
armano tanti eserciti che non hanno ragione d’essere. Si pensi alle forze
armate di ciascun Paese europeo che invece dovrebbero concordare una linea
comune e non farsi concorrenza per l’appalto dei sistemi d’arma. Si pensi al
caso dei caccia F35. Costano circa 130 milioni di euro l’uno. La politica che
si persegue non è certo di pace se pensiamo alle basi militari statunitensi ospitate
nel nostro territorio dove sono depositate armi nucleari pronte per essere
messe in azione con gli stessi caccia F35. Si chiama Difesa e invece è il
mantenimento di un costoso apparato che tutela enormi interessi economici o di
semplice autoreferenzialità. Quale politica di difesa si può intravedere
secondo la Ministro Pinotti nella
vendita di 28 caccia euro fighter al Kuwait se non gli interessi di
Finmeccanica?».
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