lunedì 7 novembre 2016

Realismo politico e paradosso secondo Niebuhr


Negli otto anni al comando della grande superpotenza, si legge un forte legame tra Obama, il primo presidente afroamericano, e il pensiero di Reinhold Niebuhr. Qualche domanda a Gianni Dessì, professore di filosofia politica a Roma Tor Vergata e segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, tra i maggiori studiosi del teologo considerato il padre del realismo politico statunitense

Quali sono le tracce del pensiero di Niebuhr in Obama?   



«Già in una intervista del 2007 il presidente Obama aveva ricordato Reinhold Niebuhr come uno dei suoi autori di riferimento. L’idea centrale che Obama riprende dal teologo protestante morto nel 1971, recentemente   riproposta nel suo discorso tenuto in occasione del conferimento del Nobel per la pace è  che il male , la fatica e il dolore non possano essere eliminati interamente dal mondo . Questa convinzione si radicava per Niebuhr nella consapevolezza, maturata negli anni delle due guerre mondiali che hanno segnato il Novecento, che  le migliori intenzioni  dell’uomo moderno di sconfiggere  totalmente il male avevano condotto a forme di idealismo politico incapaci di considerare la  realtà storica  nella sua complessità. In altre parole la pretesa di moralizzare interamente il mondo poteva condurre ad una cecità nei confronti delle concrete dinamiche di potere che ne aumentavano la forza distruttiva».


Come si legge questa visione nell'azione politica del presidente Usa?



«Nel realismo nei confronti della politica. Piuttosto che una politica intesa come  realizzazione integrale di principi ideali, Obama ha espresso una politica che, seppure animata da forti ideali, può essere meglio compresa come tentativo di rimedio, di limitazione del male. Egli ha evitato un certo prometeismo, che si esprime nella convinzione che il mondo possa essere totalmente rifatto dalla volontà e dall'impegno dell’uomo. D’altra parte non ha rifiutato strade pericolose e a volte aspre   per realizzare i propri intenti, soprattutto al livello dei rapporti internazionali. Sebbene possa sembrare paradossale si potrebbe parlare, in questo senso di umiltà: certamente non si tratta di una scarsa considerazione del suo ruolo e dell’importanza globale  di alcune sue scelte.  Si tratta piuttosto sia della  consapevolezza che il male non sarà mai interamente eliminato dal mondo perché non sarà mai eliminato del cuore dell’uomo, sia della accettazione  che la responsabilità, per coloro che sono chiamati a decidere, può comportare la scelta di azioni che individualmente non sarebbero tollerabili. Certamente tra queste due dimensioni, quella relativa alla necessità di raggiungere obiettivi concreti e quella delle convinzioni morali personali, non ci può essere una radicale separazione. Proprio la consapevolezza del legame tra di esse e la percezione che agire politicamente può significare, in precise circostanze, favorire la prima dimensione, impedisce al politico di pensare a se stesso e alla propria attività come se essa fosse semplicisticamente una trasposizione in politica della lotta tra bene e male. Impedisce quindi al politico di pensare a se stesso come  a un simbolo inattaccabile del bene in lotta contro il male nel mondo».

Un bel passo avanti davanti a certe rudimentali teologie politiche sull'Impero del bene del male…

Bisogna tener conto che in Niebuhr la consapevolezza della complessità e  della drammaticità dell’azione politica  scaturiva dalla sua concezione di libertà: egli riteneva che la libertà umana, come tendenza di autorealizzazione, di trascendimento e di aspirazione al significato , fosse all'origine delle più grandi conquiste umane; pensava che questa stessa libertà potesse errare e identificare in beni parziali il proprio compimento. La posizione nei confronti della politica aveva quindi origine nella complessità della natura umana, insieme immagine di Dio e peccato.

E oggi ? Quale consegna da questa presidenza che termina?  




«Oggi le posizioni niebuhriane non appaiono certo dominanti nella scena politica americana, che appare al contrario caratterizzata da una polarizzazione tra posizioni che il teologo avrebbe probabilmente definito con i termini fondamentalismo e progressismo. Nell'era della semplificazione mediatica, dell’imporsi della cultura del narcisismo e dello strapotere della finanza internazionale, il riferimento di Obama a Niebuhr, certamente limitato dalla necessità di tenere conto di precisi condizionamenti storici, appare comunque un atto di coraggio.   
 D’altra parte uno degli insegnamenti di Niebuhr meno richiamati, è l’idea che la storia, proprio perché creata dalla libertà degli uomini, esprima non solo gli errori della libertà, ma anche le tracce  della grandezza umana, segni che spetta a coloro che svolgono un ruolo politico ascoltare e seguire». 
Originale pubblicato su rivista Città Nuova 

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