Negli otto anni al comando della grande
superpotenza, si legge un forte legame tra Obama, il primo presidente afroamericano, e il
pensiero di Reinhold Niebuhr. Qualche domanda a Gianni Dessì, professore di
filosofia politica a Roma Tor Vergata e segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo,
tra i maggiori studiosi del teologo considerato il padre del realismo politico
statunitense
«Già in una intervista del 2007 il presidente Obama
aveva ricordato Reinhold Niebuhr come uno dei suoi autori di riferimento.
L’idea centrale che Obama riprende dal teologo protestante morto nel 1971, recentemente
riproposta nel suo discorso tenuto in occasione
del conferimento del Nobel per la pace è
che il male , la fatica e il dolore non possano essere eliminati
interamente dal mondo . Questa convinzione si radicava per Niebuhr nella consapevolezza,
maturata negli anni delle due guerre mondiali che hanno segnato il Novecento,
che le migliori intenzioni dell’uomo moderno di sconfiggere totalmente il male avevano condotto a forme di
idealismo politico incapaci di considerare la realtà storica nella sua complessità. In altre parole la
pretesa di moralizzare interamente il mondo poteva condurre ad una cecità nei
confronti delle concrete dinamiche di potere che ne aumentavano la forza
distruttiva».
«Nel realismo nei
confronti della politica. Piuttosto che una politica intesa come realizzazione integrale di principi ideali,
Obama ha espresso una politica che, seppure animata da forti ideali, può essere
meglio compresa come tentativo di rimedio, di limitazione del male. Egli ha
evitato un certo prometeismo, che si esprime nella convinzione che il mondo
possa essere totalmente rifatto dalla volontà e dall'impegno dell’uomo. D’altra
parte non ha rifiutato strade pericolose e a volte aspre per realizzare i propri intenti, soprattutto
al livello dei rapporti internazionali. Sebbene possa sembrare paradossale si
potrebbe parlare, in questo senso di umiltà: certamente non si tratta di una
scarsa considerazione del suo ruolo e dell’importanza globale di alcune sue scelte. Si tratta piuttosto sia della consapevolezza che il male non sarà mai
interamente eliminato dal mondo perché non sarà mai eliminato del cuore
dell’uomo, sia della accettazione che la
responsabilità, per coloro che sono chiamati a decidere, può comportare la
scelta di azioni che individualmente non sarebbero tollerabili. Certamente tra
queste due dimensioni, quella relativa alla necessità di raggiungere obiettivi
concreti e quella delle convinzioni morali personali, non ci può essere una
radicale separazione. Proprio la consapevolezza del legame tra di esse e la
percezione che agire politicamente può significare, in precise circostanze,
favorire la prima dimensione, impedisce al politico di pensare a se stesso e
alla propria attività come se essa fosse semplicisticamente una trasposizione
in politica della lotta tra bene e male. Impedisce quindi al politico di
pensare a se stesso come a un simbolo
inattaccabile del bene in lotta contro il male nel mondo».
Un bel passo avanti davanti a certe rudimentali teologie politiche sull'Impero del bene del male…
Bisogna tener conto che in Niebuhr la consapevolezza della complessità e della drammaticità dell’azione politica scaturiva dalla sua concezione di libertà: egli riteneva che la libertà umana, come tendenza di autorealizzazione, di trascendimento e di aspirazione al significato , fosse all'origine delle più grandi conquiste umane; pensava che questa stessa libertà potesse errare e identificare in beni parziali il proprio compimento. La posizione nei confronti della politica aveva quindi origine nella complessità della natura umana, insieme immagine di Dio e peccato.
«Oggi le posizioni
niebuhriane non appaiono certo dominanti nella scena politica americana, che
appare al contrario caratterizzata da una polarizzazione tra posizioni che il
teologo avrebbe probabilmente definito con i termini fondamentalismo e
progressismo. Nell'era della semplificazione mediatica, dell’imporsi della
cultura del narcisismo e dello strapotere della finanza internazionale, il
riferimento di Obama a Niebuhr, certamente limitato dalla necessità di tenere
conto di precisi condizionamenti storici, appare comunque un atto di
coraggio.
D’altra parte uno degli insegnamenti di
Niebuhr meno richiamati, è l’idea che la storia, proprio perché creata dalla
libertà degli uomini, esprima non solo gli errori della libertà, ma anche le
tracce della grandezza umana, segni che
spetta a coloro che svolgono un ruolo politico ascoltare e seguire».
Originale pubblicato su rivista Città Nuova
Originale pubblicato su rivista Città Nuova
Nessun commento:
Posta un commento