domenica 6 novembre 2016

Thomas Merton e la “guerra giusta” di Mario Zaninelli





Thomas Merton, il 21 novembre 1965, scrivendo al giornalista James Morrisey del Louisville Courier Journal, così si esprimeva: “Se il pacifista è colui che crede che tutte le guerre siano sempre sbagliate e sono sempre state sbagliate, allora io non sono un pacifista. Ciò nonostante credo che la guerra sia una tragedia evitabile, e credo che il problema del risolvere i conflitti internazionali senza una violenza massiccia stia per diventare il problema numero uno dei nostri tempi”.

Il 29 novembre 1961, quattro anni prima, scrivendo al suo amico Jim Forest, noto esponente del pacifismo, diceva: “Tecnicamente, non sono, in teoria, un pacifista puro, anche se oggi, in pratica, non vedo come si possa essere qualcosa di diverso nei confronti di alcune guerre anche se sono limitate (in qualche modo ‘giuste’) e che presentano un qualche pericolo per poter diventare una guerra nucleare in ampia scala”.

Questi passi, ci mostrano, l’approccio di Merton al tradizionale insegnamento etico cattolico verso la guerra, la cosiddetta teoria della guerra giusta, di cui Merton la accetta fondamentalmente come legittima ma crede che debba condurre logicamente ad un rigetto praticamente di tutte le guerre nell’era moderna. Sappiamo anche che nella sua autobiografia, Merton, basò la propria decisione di cercare lo status di obiettore cosciente e non combattivo per la Seconda Guerra Mondiale sull’applicazione del principio della guerra giusta. 

In sostanza, è favorevole, ad accettare che la guerra si attenga al criterio della giusta causa (ad es: è difesa e non aggressione), e se dichiarata questa venga fatta dall’autorità competente; è in qualche modo meno se questa guerra sia come un risultato all’ultima spiaggia ma è disposto a dare al governo anche il beneficio del dubbio. Così, egli accetta la legittimità della guerra secondo cui viene chiamata tradizionalmente il diritto alla guerra, cioè di entrare in guerra. Ma dove, Merton ha problema, un serio problema è con ciò che viene definito jus in bello, invece di jus ad bellum, cioè limitare mezzi e metodi durante la guerra [è quello che è il Diritto Internazionale Umanitario. Il DIU si applica indipendentemente dalla legittimità della guerra! mio inciso].


Merton, ne La montagna dalle sette balze, scrive: “Una guerra per essere giusta deve essere una guerra di difesa. Una guerra di aggressione non è giusta….Per il mio modo di pensare, ci sono ben pochi dubbi verso l’immoralità dei metodi che sono usati nella guerra moderna. L’auto- difesa è giusta, e una guerra necessaria è lecita: ma i metodi che derivano in larga scala dal barbarismo spietato, indiscriminato massacro di non-combattenti praticamente senza difesa è difficile da vedere come se non altro che un peccato mortale”. E’ in questa prospettiva che cerca il suo status di obiettore non combattente, come ad esempio arruolarsi nel “corpo dei soccorsi medici”, ma anche nell’approcciarsi alla questione con una prospettiva evangelica e cioè: “Potrei essere in grado di far lievitare la massa della miseria umana utilizzando la carità e la misericordia di Cristo, e l’amarezza, il brutto, il lercio business della guerra potrebbero essere convertiti in una occasione per me della mia santificazione ed anche per il bene degli uomini”.

Anni dopo, scrivendo a sostegno dell’obiezione di coscienza per un giovane, puntualizza meglio il suo pensiero sull’idea di guerra giusta: “Prima di tutto, la chiesa permette la guerra giusta di difesa anche oggi, ma perché una guerra sia giusta, ove giusto significa inevitabile, questo diviene criterio morale ed è stato violato nella Seconda Guerra Mondiale; poi, la posizione della chiesa è che i cittadini sono chiamati a servire il loro paese se tutte le condizioni per una guerra giusta sono rispettate; terzo, l’affermazione papale “porre il grande dubbio” circa la possibilità che qualsiasi uso di arma atomica, biologica o chimica possa venir considerato come un significato giusto; e, quarto dal fatto che ogni guerra è probabile che aumenti l’inclusione di un uso di armi per la distruzione di massa, per cui c’è ogni ragione affinché un cattolico usi l’utilizzo dell’obiezione di coscienza per evitare il servizio nelle forze armate”.

Queste idee di Merton si basano anche sull’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, dove gli americani stessi considerati alleati per molti, entrarono con la giustizia al loro fianco, ma che poi iniziarono ad usare in modo ingiusto, culminato poi con lo sgancio della bomba su Hiroshima e Nagasaki, tanto da portare il monaco stesso a dire che quel gesto fu “una tragica ingiustizia e una atrocità”. Inoltre, Merton, puntualizzò che i due criteri per considerare una guerra giusta e cioè la discriminazione e la proporzionalità furono completamente disattesi e che il gesto di bombardare intenzionalmente obiettivi civili era volto alla determinazione di spezzare la volontà del nemico inteso come uomo. Criteri non certamente etici ma pragmatici ed opportunisti.

In altre parole Merton è convinto che sia stato completamente stravolta la posizione tradizionale della guerra giusta, in quanto considerata irrilevante da chi fa politica, ed è spesso manipolata dal ragionamento capzioso del “realista”, cioè una morale che permette ciò che chiaramente è immorale. Da qui è nato lo sviluppo dell’idea che Merton chiama “il pacifismo relativo” (chiamato anche pacifismo nucleare), “il quale vorrebbe bandire tutte le guerre nucleari e lavorare per il disarmo quale unica direzione di azione e la più consistente morale del cristiano”. Merton sottolinea che “in pratica la guerra giusta è diventata irrilevante”, perché il conflitto moderno, per sua natura, è diventato ingiusto.

Nel 1965, Merton dialogando con John Heidbrink del Fellowship of Reconciliation, si trova d’accordo sul fatto che “se la logica della guerra giusta fosse stata seguita, avrebbe condotto praticamente al ‘pacifismo’, e che questo è ciò che i Papi, specialmente Papa Giovanni nella Pacem in Terris, ebbero a dire”. In altre parole, sostiene che, “le condizioni politiche presenti del mondo hanno cospirato per costruire l’idea che le condizioni della guerra giusta fossero praticamente impraticabile e non perseguibili”.

Da ultimo, quando Merton ragiona sulla posizione di Agostino sull’origine dela teoria della guerra giusta, si pone più in vicinanza all’assunto di Origene piuttosto che a quella realtà agostiniana. E questo perché trova nella teoria agostiniana due debolezza: la forte sottolineatura della soggettiva purezza di intenzione e, poi, la tendenza al pessimismo verso la natura umana e al mondo quale ricorso alla violenza come giustificazione. Invece, Merton vuole esortare ad approcciarsi al problema con una “nuova visione dell’uomo, della società e della guerra stessa”. Identifica questa “nuova visione”, con la posizione più evangelica della chiesa primitiva, sebbene non necessariamente un ritorno ad un ideale immaginario del puro primitivo pacifismo, ma con una ottimistica e più matura visione della natura umana come è in Giovani XXIII.

Così, Merton non abiura completamente l’idea di guerra giusta, e la trova come argomento da contrapporre alla idea moderna di guerra. In più, la non violenza evangelica e l’assunto “Beati sono i miti”, diviene un atteggiamento più vicino alla posizione pacifista che Merton teoricamente vorrebbe allontanare, come enunciato all’inizio, ma che in pratica, poi, abbraccia.   
  






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