Thomas
Merton, il 21 novembre 1965, scrivendo al giornalista James Morrisey del
Louisville Courier Journal, così si esprimeva: “Se il pacifista è colui che crede che tutte le guerre siano sempre
sbagliate e sono sempre state sbagliate, allora io non sono un pacifista. Ciò
nonostante credo che la guerra sia una tragedia evitabile, e credo che il
problema del risolvere i conflitti internazionali senza una violenza massiccia
stia per diventare il problema numero uno dei nostri tempi”.
Il
29 novembre 1961, quattro anni prima, scrivendo al suo amico Jim Forest, noto
esponente del pacifismo, diceva: “Tecnicamente,
non sono, in teoria, un pacifista puro, anche se oggi, in pratica, non vedo
come si possa essere qualcosa di diverso nei confronti di alcune guerre anche
se sono limitate (in qualche modo ‘giuste’) e che presentano un qualche
pericolo per poter diventare una guerra nucleare in ampia scala”.
Questi
passi, ci mostrano, l’approccio di Merton al tradizionale insegnamento etico
cattolico verso la guerra, la cosiddetta teoria della guerra giusta, di cui
Merton la accetta fondamentalmente come legittima ma crede che debba condurre
logicamente ad un rigetto praticamente di tutte le guerre nell’era moderna. Sappiamo
anche che nella sua autobiografia, Merton, basò la propria decisione di cercare
lo status di obiettore cosciente e non combattivo per la Seconda Guerra
Mondiale sull’applicazione del principio della guerra giusta.
In sostanza, è favorevole, ad accettare che la guerra si attenga al criterio della giusta causa (ad es: è difesa e non aggressione), e se dichiarata questa venga fatta dall’autorità competente; è in qualche modo meno se questa guerra sia come un risultato all’ultima spiaggia ma è disposto a dare al governo anche il beneficio del dubbio. Così, egli accetta la legittimità della guerra secondo cui viene chiamata tradizionalmente il diritto alla guerra, cioè di entrare in guerra. Ma dove, Merton ha problema, un serio problema è con ciò che viene definito jus in bello, invece di jus ad bellum, cioè limitare mezzi e metodi durante la guerra [è quello che è il Diritto Internazionale Umanitario. Il DIU si applica indipendentemente dalla legittimità della guerra! mio inciso].
In sostanza, è favorevole, ad accettare che la guerra si attenga al criterio della giusta causa (ad es: è difesa e non aggressione), e se dichiarata questa venga fatta dall’autorità competente; è in qualche modo meno se questa guerra sia come un risultato all’ultima spiaggia ma è disposto a dare al governo anche il beneficio del dubbio. Così, egli accetta la legittimità della guerra secondo cui viene chiamata tradizionalmente il diritto alla guerra, cioè di entrare in guerra. Ma dove, Merton ha problema, un serio problema è con ciò che viene definito jus in bello, invece di jus ad bellum, cioè limitare mezzi e metodi durante la guerra [è quello che è il Diritto Internazionale Umanitario. Il DIU si applica indipendentemente dalla legittimità della guerra! mio inciso].
Merton,
ne La montagna dalle sette balze,
scrive: “Una guerra per essere giusta
deve essere una guerra di difesa. Una guerra di aggressione non è giusta….Per
il mio modo di pensare, ci sono ben pochi dubbi verso l’immoralità dei metodi
che sono usati nella guerra moderna. L’auto- difesa è giusta, e una guerra
necessaria è lecita: ma i metodi che derivano in larga scala dal barbarismo
spietato, indiscriminato massacro di non-combattenti praticamente senza difesa
è difficile da vedere come se non altro che un peccato mortale”. E’ in
questa prospettiva che cerca il suo status di obiettore non combattente, come
ad esempio arruolarsi nel “corpo dei
soccorsi medici”, ma anche nell’approcciarsi alla questione con una
prospettiva evangelica e cioè: “Potrei
essere in grado di far lievitare la massa della miseria umana utilizzando la
carità e la misericordia di Cristo, e l’amarezza, il brutto, il lercio business
della guerra potrebbero essere convertiti in una occasione per me della mia
santificazione ed anche per il bene degli uomini”.
Anni
dopo, scrivendo a sostegno dell’obiezione di coscienza per un giovane,
puntualizza meglio il suo pensiero sull’idea di guerra giusta: “Prima di tutto, la chiesa permette la guerra
giusta di difesa anche oggi, ma perché una guerra sia giusta, ove giusto
significa inevitabile, questo diviene criterio morale ed è stato violato nella
Seconda Guerra Mondiale; poi, la posizione della chiesa è che i cittadini sono
chiamati a servire il loro paese se tutte le condizioni per una guerra giusta
sono rispettate; terzo, l’affermazione papale “porre il grande dubbio” circa la
possibilità che qualsiasi uso di arma atomica, biologica o chimica possa venir
considerato come un significato giusto; e, quarto dal fatto che ogni guerra è
probabile che aumenti l’inclusione di un uso di armi per la distruzione di
massa, per cui c’è ogni ragione affinché un cattolico usi l’utilizzo
dell’obiezione di coscienza per evitare il servizio nelle forze armate”.
Queste
idee di Merton si basano anche sull’esperienza della Seconda Guerra Mondiale,
dove gli americani stessi considerati alleati per molti, entrarono con la
giustizia al loro fianco, ma che poi iniziarono ad usare in modo ingiusto,
culminato poi con lo sgancio della bomba su Hiroshima e Nagasaki, tanto da
portare il monaco stesso a dire che quel gesto fu “una tragica ingiustizia e
una atrocità”. Inoltre, Merton, puntualizzò che i due criteri per considerare
una guerra giusta e cioè la discriminazione e la proporzionalità furono
completamente disattesi e che il gesto di bombardare intenzionalmente obiettivi
civili era volto alla determinazione di spezzare la volontà del nemico inteso
come uomo. Criteri non certamente etici ma pragmatici ed opportunisti.
In
altre parole Merton è convinto che sia stato completamente stravolta la
posizione tradizionale della guerra giusta, in quanto considerata irrilevante
da chi fa politica, ed è spesso manipolata dal ragionamento capzioso del “realista”, cioè una morale che permette
ciò che chiaramente è immorale. Da qui è nato lo sviluppo dell’idea che Merton
chiama “il pacifismo relativo”
(chiamato anche pacifismo nucleare), “il
quale vorrebbe bandire tutte le guerre nucleari e lavorare per il disarmo quale
unica direzione di azione e la più consistente morale del cristiano”.
Merton sottolinea che “in pratica la
guerra giusta è diventata irrilevante”, perché il conflitto moderno, per
sua natura, è diventato ingiusto.
Nel
1965, Merton dialogando con John Heidbrink del Fellowship of Reconciliation, si
trova d’accordo sul fatto che “se la
logica della guerra giusta fosse stata seguita, avrebbe condotto praticamente
al ‘pacifismo’, e che questo è ciò che i Papi, specialmente Papa Giovanni nella
Pacem in Terris, ebbero a dire”. In altre parole, sostiene che, “le condizioni politiche presenti del mondo
hanno cospirato per costruire l’idea che le condizioni della guerra giusta
fossero praticamente impraticabile e non perseguibili”.
Da
ultimo, quando Merton ragiona sulla posizione di Agostino sull’origine dela
teoria della guerra giusta, si pone più in vicinanza all’assunto di Origene
piuttosto che a quella realtà agostiniana. E questo perché trova nella teoria
agostiniana due debolezza: la forte sottolineatura della soggettiva purezza di
intenzione e, poi, la tendenza al pessimismo verso la natura umana e al mondo
quale ricorso alla violenza come giustificazione. Invece, Merton vuole esortare
ad approcciarsi al problema con una “nuova
visione dell’uomo, della società e della guerra stessa”. Identifica questa
“nuova visione”, con la posizione più
evangelica della chiesa primitiva, sebbene non necessariamente un ritorno ad un
ideale immaginario del puro primitivo pacifismo, ma con una ottimistica e più
matura visione della natura umana come è in Giovani XXIII.
Così,
Merton non abiura completamente l’idea di guerra giusta, e la trova come
argomento da contrapporre alla idea moderna di guerra. In più, la non violenza
evangelica e l’assunto “Beati sono i miti”, diviene un atteggiamento più vicino
alla posizione pacifista che Merton teoricamente vorrebbe allontanare, come
enunciato all’inizio, ma che in pratica, poi, abbraccia.
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